Omelia Domenica VI - A
“Non pensate che io sia venuto ad annullare la legge di Mosè e l’insegnamento dei profeti; non sono venuto ad annullare, ma per il loro compimento”. È la conclusione di Gesù al discorso delle beatitudini in cui Egli mette in primo piano il compito dei discepoli, cioè della Chiesa, nei confronti del mondo. L’Evangelista entra così in profondità in tutto il discorso: Gesù ci rivela la volontà del Padre perché Egli è il nuovo Mosè, un maestro di vita per noi, e lo fa con autorevolezza. Ci mostra, senza ombra o equivoci, quel cammino di Dio che noi dobbiamo compiere nella più grande fedeltà. Tuttavia, sullo sfondo di questo brano, complesso e difficile da capire per noi – sempre tentati dal moralismo della doppia verità - , c’è anche la situazione vissuta dalla comunità a cui si rivolge Matteo e in cui c’erano due opposte tendenze: da un lato, c’era chi sosteneva che Gesù aveva totalmente abolito la legge di Mosè, e , dall’altro, chi sosteneva che il suo compito era stato di sottoscrivere, punto per punto, tutto ciò che vi era scritto.
L’Evangelista, invece, punta decisamente al senso decisivo del discorso di Gesù. Non fa sconti e non segue né l’una né l’altra tendenza. In realtà, Gesù è venuto a darci la rivelazione definitiva della volontà di Dio. E cioè: la legge antica ha trovato finalmente, nella sua parola e nel suo esempio, quel compimento e pienezza che le mancavano. Deve essere superata quella visione farisaica che si è attardata in minuziosi e soffocanti “precetti” che non liberano l’uomo, ma lo chiudono piuttosto in una “religione”. La fede nel Dio vivo, annunciata da Mosè, si era trasformata in niente di più che fede nella religione. Dio è totalmente scomparso in questo orizzonte. Gesù, al contrario, riporta tutto a Dio:” siate perfetti come è perfetto il Padre vostro che è nei cieli”. Di fatto, dopo duemila anni di fede cristiana, noi ancora combattiamo con questa tentazione farisaica: una fede tutta soggettiva, autoreferenziale, che crede nelle istituzioni simboliche, politiche ed economiche costruite dai credenti, ieri dai farisei oggi dai cristiani. È una sorta di ateismo del cuore, un’incredulità più vissuta che dichiarata e che porta, oscuramente a sentire non reale la relazione effettiva con Dio. È il tremendo pericolo che Papa Francesco non smette di denunciare nelle stesse istituzioni della Chiesa: crediamo di servire Dio, ma in realtà serviamo noi stessi, il nostro bisogno di potere e di supremazia sugli altri. E da qui la mancanza di amore e di carità verso gli altri che dominiamo con il nostro potere, questa volta “in nome di Dio e del Vangelo”! Un’assurdità, ma è quello che accade.
La vera fede nel Dio rivelato da Gesù è tutt’altra cosa. È un affidarsi al Dio vivente, non alle sole forze delle istituzioni religiose, fossero anche le più sante, come il sacerdozio cristiano. La volontà di Dio – di cui Gesù oggi ci dà esempi concreti, mentre ognuno di noi deve viverli nel proprio cuore – vuole raggiungere tutto l’uomo e gli si propone come imperativo incondizionato e illimitato. Non lascia spazi da vivere secondo una logica di “autonomia egoistica”. Chiede totalità e adesione al Dio vivente. Esige non qualcosa di noi, un comportamento o l’altro, bensì semplicemente tutta la nostra vita!
Gesù non si muove sulla base di concetti universali di bene o di male, ma parte dalla prospettiva religiosa della volontà e perfezione del Padre che ama tutti gli uomini e non fa nessuna distinzione. Ma, per vivere tutto questo, non possiamo farlo con le nostre forze, ma affidandoci a Lui, al significato della sua presenza in noi, nella nostra vita, nei nostri comportamenti, nelle nostre scelte concrete di vita. Occorre che amiamo davvero Gesù, e non semplicemente richiamarci ai suoi insegnamenti. E qui dovremmo farci un serio esame di coscienza: noi preferiamo pregare Gesù piuttosto che fare strada con Lui, metterlo sugli altari e poi, concretamente, voltargli le spalle piuttosto che incarnare nella nostra la sua forma di vita. Un autore moderno ha scritto giustamente che soltanto l’amore vissuto genera la fede e non è la fede che può generare l’amore per il Signore.
Preghiamo Gesù perché ci doni la grazia di aprire noi stessi, la nostra vita al grido potente del suo Amore.
|